Cataratta congenita

La cataratta nel bambino impedisce la maturazione delle vie e dei centri della corteccia cerebrale, con gravi e irreversibili conseguenze sulla funzione visiva monoculare e binoculare. A differenza di quanto capita nella cataratta dell'adulto, la cataratta pediatrica, agendo nei primi mesi o nei primi anni di vita, non solo riduce l’acuità visiva ma interferisce con il normale sviluppo dell'apparato visivo.

La cataratta pediatrica è una patologia complessa e va affrontata da professionisti super specializzati. 

La sua incidenza cambia nei vari paesi, ma mediamente 3 bambini su 10.000 presentano un’opacità del cristallino. Nel mondo essa rappresenta la più frequente (5-20%) e prevenibile causa di compromissione visiva e cecità nell’infanzia. La cataratta del bambino è una patologia con un grande impatto sulla vita dei pazienti e delle famiglie, ma anche con gravi ripercussioni di tipo socio-economico. I bambini con grave deficit visivo sono circa 1,8 milioni rispetto ai circa 20 milioni di adulti ciechi per cataratta; tuttavia, considerando la loro più lunga aspettativa di vita (almeno 50 anni) risulta un ammontare di “anni cecità” di circa 90 milioni (1,8 x 50).

 

Vi sono numerose difficoltà e differenze nell’approccio alla cataratta pediatrica, dalla diagnosi al trattamento e al percorso post operatorio, a seconda dell'età del bambino, dell'estensione dell'opacità del cristallino, dell'interessamento  di uno solo o di entrambi gli occhi, della presenza di altre patologie associate oftalmologiche (strabismo, persistenza del vitreo primitivo, uveiti, glaucoma) o generali (malattie genetiche, metaboliche, infezioni trasmesse durante la gravidanza).

                          

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La figura illustra due casi di cataratta congenita, prima dell'intervento chirurgico di asportazione.

 

La cataratta congenita e pediatrica si differenzia da quella dell’adulto per le caratteristiche anatomiche e fisiopatologiche. Agendo nel periodo plastico dello sviluppo cerebrale, i primi mesi o anni di vita, non solo comporta una riduzione dell’acuità visiva ma interferisce, con un meccanismo di deprivazione, sul normale sviluppo e maturazione dei corpi genicolati e delle aree visive corticali. Conseguono gravi e irreversibili alterazioni della funzione visiva sensoriale:

-monoculare (ambliopia)

-binoculare  (assenza di stereopsi, deficit di visione binoculare singola, fino alla completa assenza di una benché minima cooperazione binoculare).

Anche la funzione oculomotoria può essere compromessa con la comparsa di strabismo, fino a quadri di monoftalmo congenito e, nella cataratta bilaterale, comparsa di un nistagmo sensoriale per lo più irreversibile.

È stata anche dimostrata la possibile reversibilità delle alterazioni corticali se si provvede a ristabilire quanto prima una visione nitida con una diagnosi precoce e, quando necessario, un intervento chirurgico tempestivo e un trattamento ortottico.

 

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La figura mostra un caso di strabismo per cataratta congenita e persistenza del vitreo primitivo nell'occhio destro:

A) prima dell'intervento chirurgico di asportazione della cataratta e del vitreo promitivo e correzione chirurgica dello strabismo.

B) dopo qualche anno dall'intervento ed un assiduo follow-up ortottico: gli occhi si presentano ben allineati e si apprezza un buon recupero funzionale oltre che un netto miglioramento estetico.

 

Molti lavori sperimentali e clinici hanno dimostrato che le alterazioni neurofisiologiche si instaurano rapidamente a partire dalla 4a- 6a settimana di vita per la cataratta congenita monolaterale e dalla 6a- 8a per quella bilaterale. Valutazioni del visus nel tempo hanno evidenziato che entro la 14a settimana di età, per ogni 3 settimane di ritardo nel trattamento, viene persa mediamente una linea di acuità visiva all’ottotipo di Snellen. Le forme più gravi sono, pertanto, quella congenita e quella neonatale.

 

 

PIANIFICAZIONE DEL TRATTAMENTO DELLA CATARATTA PEDIATRICA: APPROCCIO CONSERVATIVO O CHIRURGICO

 

La complessità diagnostica e terapeutica della cataratta pediatrica e le ancora numerose difformità nell’approccio da parte degli oftalmologi di tutto il mondo, fanno sì che il trattamento di tale patologia rappresenti, per i genitori, il bambino e l’oculista pediatrico, una vera e propria sfida, accompagnata da intenso stress.

L’occhio del bambino differisce da quello dell’adulto non solo perché è più piccolo, ma per le sue caratteristiche anatomiche e fisiologiche, e per gli aspetti psicologici e sociali connessi all’età del piccolo paziente.      

Nel bambino la cataratta non solo determina una riduzione del visus, ma interferisce con lo sviluppo delle normali funzioni visive; infatti rappresenta una delle principali cause di ambliopia da deprivazione, in quanto impedisce la formazione di immagini nitide sulla retina e di conseguenza il normale sviluppo e la maturazione delle vie e dei centri nervosi visivi centrali (gangli genicolati e corteccia cerebrale visiva). 

Nella pianificazione del trattamento è importante considerare: età del bambino, mono o bilateralità della cataratta, densità, localizzazione ed estensione dell’opacità, eventuali patologie associate, collaborazione dei genitori.

 

Quale Trattamento?

 

Trattamento chirurgico

 

Rispetto al passato, negli ultimi trent'anni l'esperienza clinica, ma soprattutto l'innovazione tecnologica, hanno permesso passi da gigante nell'evoluzione del trattamento chirurgico e nella sua applicazione e risultati.

Nel passato, infatti, gli scarsi risultati anatomici e funzionali della chirurgia della cataratta infantile avevano indotto gli oftalmologi ad un trattamento conservativo non chirurgico. Nel 1957, Costenbader e Albert affermavano che essi non avevano visto un singolo bambino trarre beneficio dalla chirurgia della cataratta congenita.

Negli anni ’60 DeVoe (1965) affermava che “...è meglio avere un visus di 20/50 con l’accomodazione che 20/20 senza l’accomodazione”; in seguito Chandler sottolineava che “...il fatto che dopo la chirurgia della cataratta congenita siano perduti così tanti occhi è il motivo per cui l’intervento non è consigliabile se non quando il visus è molto basso” (24th Eduard Jackson Memorial Lecture, 1968). 

Nell’ultimo decennio, il miglioramento delle tecniche chirurgiche e delle apparecchiature a disposizione del chirurgo, l’evoluzione nella correzione dell’afachia basata non solo sulle lenti a contatto ma anche sull’utilizzo di lenti intraoculari (IOL) hanno ridimensionato il conservatorismo, riportandolo nei limiti appropriati. L’intervento chirurgico ai nostri giorni non è scartato per la paura delle possibili complicazioni ma è evitato nei casi in cui l’opacità è parziale ed un trattamento conservativo può portare ad un risultato anatomo-funzionale migliore.

 

Trattamento conservativo

 

Il trattamento conservativo in alcuni casi deve, in altri può, rappresentare una valida alternativa all’intervento chirurgico. Si tratta di casi in cui l’opacità è parziale e in cui si rilevano particolari e determinate condizioni. E’ necessaria un’appropriata terapia antiambliopica che si basa sull’attenta valutazione e correzione di vizi refrattivi, sul bendaggio dell’occhio migliore, sull'uso midriatici nell’occhio affetto se la cataratta è centrale. Bisogna ricordare tuttavia che i midriatici richiedono l’uso di lenti per vicino e spesso comportano fenomeni di abbagliamento mal sopportati dal piccolo paziente, inducendo a volte una ridotta compliance per lo stesso trattamento antiambliopico.

Il trattamento conservativo richiede la collaborazione dei genitori e la costante e paziente dedizione dell’oftalmologo e dell’ortottista che, insieme, condurranno il follow-up.    

L’approccio conservativo è particolarmente indicato nelle cataratte monolaterali parziali. Invece, per quanto riguarda le cataratte bilaterali parziali molti oftalmologi ritengono che non si debba intervenire chirurgicamente se il visus è superiore a 3 – 4 /10.  

E’ evidente che nei bambini molto piccoli e soprattutto nei neonati è difficile se non impossibile misurare l’acuità visiva. L’operatore si trova a dover decidere da un lato la possibilità di evitare un intervento chirurgico inutile se non dannoso, tanto più in caso di complicazioni, dall’altro la minaccia che una cataratta per quanto incompleta, possa in certi casi ridurre significativamente il visus e determinare un’ambliopia irreversibile. 

In considerazione della difficoltà o impossibilità a rilevare il visus nei bambini molto piccoli, un mezzo per la scelta del trattamento si basa sull’osservazione oftalmoscopica del fundus in miosi e in midriasi. La maggior parte degli oculisti lo ritiene l’esame diagnostico più importante, purchè sia eseguito da un oculista pediatrico esperto, data la natura soggettiva dell’esame. I sistemi di retinografia, per quanto più obbiettivi, possono presentare delle difficoltà tecniche e degli artefatti che li rendono complementari e non sostitutivi dell’oftalmoscopia.

Un altro criterio complementare all’oftalmoscopia  è la misurazione del diametro dell’opacità: l’approccio conservativo è consigliato quando l’opacità non supera i 2 mm.